La vedova è salita fin qui da sola, nessuno l’ha costretta. Ha scrollato i suoi abiti più eleganti dai pidocchi e li ha indossati, ha lavato i capelli nella tinozza dell’urina della casa comune e se li è legati. Ha recitato una tacita preghiera, sotto lo sguardo silenzioso dei suoi coinquilini pagani, si è raschiata il grasso misto a fuliggine dalle guance e ha consumato il buon pasto che le è stato portato. Poi è salita fin qui, a passi leggeri. Ora è seduta, quasi felice, in attesa, le guance accaldate, sul ciglio dello strapiombo, con le gambe raccolte sotto di sé come si conviene, alla maniera delle vedove, come è solita sedere a casa, sulla panca sotto la finestra del campanile. In una mano stringe la croce, avverte la sicurezza del calore pesante dell’oro. Sotto di lei un salto di almeno un centinaio di braccia, ode la risacca, l’acqua che colpisce la roccia, si rompe in bianca spuma e si ritira gorgogliando. Ma non la vede, ha socchiuso gli occhi e rivolto lo sguardo dentro di sé, ha combattuto l’angoscia, ha domato il respiro e il battito del cuore in un ritmo controllato. Muove le labbra ripetendo la litania: O Dio Padre nel Cielo, abbi pietà di noi poveri peccatori. O Figlio di Dio, abbi pietà. O Dio Spirito Santo. O benedetta sublime Trinità. Sente il vento arrivare a folate dal basso alitandole la vita nel vestito e si aggrappa alla torba umida sulla roccia per non essere spinta oltre il ciglio prima che sia il momento. Rimane seduta salmodiando una litania in attesa del suo salvatore. Con la Tua mortale angoscia e il sudore insanguinato, con la Tua croce e la sofferenza, salvaci, o buon Dio!